Federica Giordani

ottobre 15, 2009

Il nemico, un romanzo eretico

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Milano, 15 ottobre 2009, La Voce d’Italia

“Quel che ci occorre è l’odio. Dall’odio nasceranno le nostre idee.” Scriveva così Jean Genet nell’epigrafe de “I negri”, e non è una citazione fine a se stessa. Emanuele Tonon nel suo “Il nemico” di odio ce ne fa respirare molto. Come in una strana ricetta, il cui gusto non è poi così chiaro, troviamo tra le pagine di questo libro un miscuglio di sentimenti molto diversi.

Odio, certo, ma anche tanta rabbia e tanto amore che spesso vanno di pari passo. Tonon, che si definisce “teologo operaio” racconta una storia epica, quella di una famiglia del Friuli orientale, la storia di quella che in qualsiasi cronaca di giornale troveremo definita come una “famiglia normale”. Ma di normale non c’è nulla nel dover morire di lavoro. Il padre del protagonista, come un moderno e malinconico cow boy, cavalca ogni mattina il suo Benelli e va al lavoro, a respirare quella polvere finissima di legno e quella malta che lo faranno lentamente soffocare.

La storia, viene raccontata dal figlio in prima persona. C’è tanta rabbia. La rabbia di un figlio che si trova da solo, senza quella divinità familiare attorno alla quale avava basato le sue certezze. “Ho perso Dio a causa tua, non lo vedo più da tre anni, esattamente da quando ho smesso di vedere te” racconta il ragazzo, ormai uomo, rivolgendosi a quel padre che non c’è più, ma che sembra essere più presente ora rispetto a prima, presente in quell’assenza devastante che dilaga su tutto, entra nelle viscere e cambia la percezione delle cose. “Il nemico” che compare nel titolo forse è Dio, ma sarebbe una semplificazione.

Qui il nemico ha tante facce. E’ il Dio delle risposte mancate, è il sistema di una società che lascia annegare i suoi figli più onesti, è la vita banale, è la routine, sta nelle relazioni sbagliate, nella superficialità della gente che vive intorno a noi senza capire, il nemico è la vita che diventa “il più classico dei classici“, deludendoci. Tanti nemici, insomma, poca, pochissima speranza.

Tonon scrive in modo duro, con molta rabbia e tanto silenzio. “Il nemico” potrebbe essere portato anche a teatro e l’allestimento sarebbe semplice: una luce fissa che illumina parzialmente un uomo, seduto a terra, gambe incrociate nel buio assoluto della sala e della sua solitudine.

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